in merito all’obbligo di iscrizione cassa geometri per i geometri iscritti all’albo

i geometri iscritti al proprio collegio provinciale, che pagano l’iscrizione annualmente, che conservano il timbro perchè “non si sa mai”, che lavorano presso un ente pubblico a tempo pieno, che pagano l’INPS e non lavorano come liberi professionisti, nemmeno saltuariamente, sono obbligati ad essere anche iscritti alla Cassa Geometri? e se si, pagando quale contributo? Il “minimo”? …me lo chiedo perchè il “minimo”, già alto, arriverà a breve a cifre astronomiche.

io sono in questa situazione ormai da  3 anni e, sul mio ruolo contributivo in cassa geometri, non compare nessuna richiesta in tal senso. la paura però è che cassa geometri, guidata ormai da anni da persone che a me non piacciono, quando decide di farti pagare qualcosa non ti avvisa. te lo trovi direttamente scritto nella tua rendicontazione. nemmeno ti inviano una PEC. di conseguenza, come me, oggi sono in molti a prooccuparsi.

aggiungo che, mentre un tempo potevi lasciare il timbro “in deposito” al collegio e riprenderlo, semmai, in un futuro decidessi di ricominciare l’attività, oggi è cambiato tutto.

purtroppo non è sempre facile capire il diritto, soprattutto se quello che leggi non sembra esserlo. interpretare una sentenza sarebbe compito di altri. comunque mi stupisco sempre come i concetti contenuti in una sentenza possano essere opposti gli stessi concetti contenuti in altre, precedenti, ancora attuali. strana bestia il diritto, e strana bestia la politica che da anni lascia la guida di così tanti denari in mano a soggetti non adeguatamente controllati.

cercando di capire su questa ultima sentenza, sono arrivato ad un articolo sull’argomento dell’Avvocato Cristian Primiceri, pubblicato on-line sul suo sito che rimbalzo.

studiolegaleprimiceri.it

Volgendo lo sguardo alla recentissima giurisprudenza della Corte di Cassazione, la risposta sembrerebbe essere: sì!
Un geometra che sceglie di essere iscritto all’albo, anche per attività occasionale ed anche nel caso in cui non produca alcun reddito (sic!) e che, nel contempo, svolga anche altra attività lavorativa per la quale abbia già altra posizione previdenziale obbligatoria (INPS), è obbligato ad iscriversi alla Cassa.
Il motivo? La Corte di Cassazione – continuando ancor oggi a disattendere quel principio fortemente richiamato dai giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo, per cui la tutela del legittimo affidamento cammina di pari passo con la tutela del diritto, essendo la certezza dei rapporti giuridici la base della convivenza civile e del patto sociale che lega i cittadini e lo Stato – con un vero e proprio ribaltamento del suo precedente giurisprudenziale, ha ritenuto legittime le norme interne della Cassa Geometri (in particolare, l’art. 5 dello Statuto e l’art. 3, comma 1, del Regolamento), in quanto “legittima espressione di esercizio dell’autonomia regolamentare della Cassa all’esito della sua privatizzazione” (cfr. ex multis, Cass. Civ. sent. n°28188 del 28.09.2022).
Sempre la stessa Corte di Cassazione, almeno sino alla sentenza del 2021 (la n°4568), riteneva invece che l’autonomia regolamentare riconosciuta alle Casse dall’art. 2 del d.lgs. n. 509 del 1994 fosse limitata, dall’art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995, nel testo “ratione temporis” vigente, agli interventi di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico. Da ciò ne derivava, secondo la Corte, l’illegittimità dell’art. 3, comma 1, del regolamento della Cassa Geometri, in vigore dal 1° gennaio 2003, nella parte in cui, derogando all’art. 22, comma 2, della l. n. 773 del 1982, prevede l’obbligatorietà dell’iscrizione dei geometri iscritti all’albo professionale che esercitano la libera professione (Cass. Civ..22.02.2019 n°5375).
Ora, tornando all’overruling (ribaltamento di un precedente giurisprudenziale), è noto che il mondo del diritto si presenta con un approccio diverso a seconda che il Paese aderisca al sistema del civil law o del common law. Nel primo caso, quindi in Italia, il giudice risulta soggetto solo alla legge e, dunque, le precedenti pronunce di altri giudici non sono in alcun modo vincolanti per la decisione della causa esaminata, dovendo il magistrato incaricato attenersi a quello che, a suo avviso, è la volontà del legislatore, così applicando la norma di legge che si adatta al caso specifico secondo la sua personale valutazione giuridica. In questo modo, ciascun giudice è libero di dare l’interpretazione che ritiene più corretta del dato legislativo, con l’unico obbligo di motivare questa sua scelta.
La portata di questi mutamenti giurisprudenziali, imprevedibili nel momento in cui un soggetto, confidando nel risultato derivante, in quel preciso momento storico, da una chiara interpretazione del disposto normativo, decide di adottare una certa condotta, è devastante nella misura in cui quel ribaltamento giurisprudenziale vada ad incidere retroattivamente su posizioni soggettive in qualche modo cristallizzate.
Ecco allora che sovviene, ancora una volta, la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che impone la “conoscibilità della regola di diritto e la (ragionevole) prevedibilità della sua applicazione”, limitando, pertanto, l’efficacia del mutamento giurisprudenziale “creativo” ai casi futuri o individuandone la data di decorrenza da un dato oggettivo di pubblicità della decisione.
Anche la Corte di giustizia della CE ha recepito il principio di irretroattività della giurisprudenza creativa, stabilendo che deve essere impedita l’applicazione retroattiva di una nuova interpretazione di una norma, nel caso in cui si tratti di un’interpretazione giurisprudenziale il cui risultato non era ragionevolmente prevedibile nel momento in cui quella data condotta (in questo caso, la decisione di iscriversi al solo Albo professionale) è stata posta in essere.
La certezza del diritto, intesa come affidabilità e legittima aspettativa sulla stabilità applicativa delle norme interpretate dai giudici, è un prerequisito della tutela dei diritti – in primis – fondamentali.
Si tratta di un’esigenza di stabilità delle situazioni giuridiche e di affidamento del pubblico nella giustizia.
Se la nozione di legge o di diritto rilevante per la tutela dei diritti fondamentali è dinamicamente intesa, nel suo contenuto, quale risultante dalla giurisprudenza, il ruolo di quest’ultima è decisivo nella conformazione della certezza del diritto e, quindi, nella concreta tutela dei diritti, soprattutto di quelli fondamentali.
La stessa Corte di Strasburgo costantemente riafferma che è proprio nell’interesse della certezza del diritto, della prevedibilità e dell’uguaglianza davanti alla legge che non le è consentito discostarsi dalla sua giurisprudenza pregressa senza un valido motivo.
Il mutamento di giurisprudenza, sia chiaro, è nell’ordine delle cose, anche se chiunque può attendersi ragionevolmente che, a garanzia appunto dei valori di certezza del diritto e di uguaglianza davanti alla legge, a condizioni uguali siano riservate decisioni uguali e che quindi sia applicata un’interpretazione il più possibile costante, finché le condizioni non mutino: nel caso di specie, medesime situazioni, medesime fattispecie sono state giudicate diversamente, a seconda del periodo storico in cui le rispettive domande di giustizia sono pervenute all’attenzione del Giudice di Legittimità.
Due geometri che nel 2010 avessero scelto di iscriversi all’albo, per attività occasionale ed in assenza, in quasi tutti gli anni, di reddito e che, nel contempo, avessero svolto anche altra attività lavorativa per la quale avevano già altra posizione previdenziale obbligatoria (INPS), avrebbero visto i loro ricorsi decisi dal medesimo organo giudicante (la Corte di Cassazione) in diverso modo a seconda che gli stessi fossero andati a sentenza prima o dopo il 2021.
Sappiamo che le divergenze sincroniche di giurisprudenza costituiscono, per la natura stessa della funzione giurisdizionale, la conseguenza naturale di ogni sistema giudiziario strutturato su di un insieme di giurisdizioni di merito con ripartita competenza territoriale: tanto è fisiologico e non comporta, di per sé solo, alcuna violazione della Convenzione sui diritti dell’uomo.
La situazione diviene patologica e merita una sanzione, invece, quando le divergenze riguardino giurisdizioni tutte di ultima istanza – e, a maggior ragione, la medesima giurisdizione di ultima istanza – e siano profonde e persistenti, senza che il diritto interno preveda meccanismi volti al componimento di tali incoerenze.
Particolare attenzione è, quindi, richiesta alla giurisdizione di ultimo grado, visto che il principio di certezza del diritto, ricondotto direttamente all’art. 6, par. 1, Cedu, esige che una nuova e contrastante decisione sulla stessa materia sia sorretta da un’adeguata considerazione e ragionata confutazione della precedente.
In definitiva, nonostante l’assoluta fisiologia connessa alla diversità di orientamenti giurisprudenziali fra le corti di merito e fra queste e quella di legittimità, non è invece tollerabile che vi siano marcate e persistenti diversità di vedute all’interno dell’organo che ha il compito di dare uniformità alla giurisprudenza.
Tornando alla questione oggetto del presente contributo, non può non pensarsi al comportamento di chi, come un geometra iscritto, per fare il solito esempio, all’albo nel 2010, confidando sulla non obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa e, di conseguenza, sulla non debenza dei contributi minimi (ben altra cosa rispetto al c.d. contributo di solidarietà scorrettamente invocato nelle sue ultime pronunce dalla Corte di Cassazione ed erroneamente equiparato agli stessi), veda a distanza di anni (parliamo del 2021) clamorosamente mutato il panorama giurisprudenziale alla luce di una rilettura del testo normativo a sé sfavorevole.
A quale principio il giudice dovrà fare riferimento: a quello, ultimamente non condiviso, del precedente che dichiarava l’illegittimità delle disposizioni regolamentari per chiara violazione dell’art. 22 della L. 773 del 1982 che, in casi come quello innanzi citato, prevedevano e prevedono (la norma è tuttora vigente!) la non obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa o a quello, condiviso dalla recente giurisprudenza (ved. Cass. 4568/2021), ma lesivo se applicato ora per allora, del diritto alla tutela del legittimo affidamento? O ancora a quello, condiviso dalla recente giurisprudenza, della validità solo per il futuro dei cambi di giurisprudenza lesivi del legittimo affidamento?
Una chiave per uscire dall’impasse potrebbe essere quella di riconoscere, in continuità con quanto già fatto dalla Corte di cassazione, il diritto della parte a non vedersi applicato il nuovo principio di diritto imprevedibile ogni qualvolta questa potesse vantare un diritto fondamentale alla sicurezza giuridica.
In quest’ottica, potrebbe giustificarsi la disapplicazione di un nuovo principio di diritto che privi ingiustificatamente la parte di un risultato favorevole, prevedibile in virtù della giurisprudenza consolidata, sulla base dell’art. 1, primo Protocollo aggiuntivo della Cedu, al quale la Corte di Strasburgo riconduce la protezione delle aspettative fondate su una giurisprudenza consolidata («enforceable claims») e, successivamente, ingiustificatamente sottratte.
Potrebbe, del pari, invocarsi l’art. 7 Cedu per giustificare la disapplicazione della nuova interpretazione, imprevedibile e in malam partem, di una norma da ritenersi sanzionatoria secondo la definizione sostanzialistica tipica del giudice europeo.
Oggi, la Corte di Cassazione, aderendo alle tesi della Cassa Geometri, ha in buona sostanza affermato il principio per cui gli enti previdenziali privatizzati (tale va considerata anche la CIPAG), nell’esercizio della propria autonomia, sono abilitati ad abrogare o derogare disposizioni di legge in funzione dell’obiettivo di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni, il tutto in spreto al principio di gerarchia delle fonti del diritto.
Chi scrive dubita, altresì, della legittimità costituzionale di alcune norme della legge di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare (L. 335/1995) e della legge attuativa della delega in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza (d.lgs. 509/1994), per come interpretate dalla recente giurisprudenza di legittimità (c.d. diritto vivente) per violazione di molti articoli della nostra Carta fondamentale, nonché per violazione dell’art. 117 della Costituzione in relazione all’art. 1 protocollo n°1 Convenzione Europea.
Il c.d. diritto vivente afferma il principio per cui “ai fini dell’obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa dei geometri liberi professionisti e del pagamento della contribuzione minima, è condizione sufficiente, alla stregua del regolamento della predetta Cassa, l’iscrizione all’albo professionale essendo irrilevante la natura occasionale dell’esercizio della professione e la mancata produzione di reddito”.
Non c’è alcun dubbio sul fatto che l’ammontare di una contribuzione minima slegata dal reddito, in misura arbitrariamente demandata ad un regolamento, vìola i precetti che in materia di tributi impongono che le prestazioni patrimoniali imposte di imperio dallo Stato siano fissate per legge. La legge deve prevedere sia la prestazione che il suo ammontare, per rispettare la riserva.
L’art. 23 della Costituzione è chiarissimo nello stabilire che le prestazioni patrimoniali possano essere imposte solo dalla legge. I contributi previdenziali, infatti, trovano la propria ragione di esistere nell’esercizio di un’attività pubblica, alla quale l’obbligato al versamento è coattivamente tenuto. Ciò significa che è lo Stato che, agendo di imperio, impone la prestazione, in ragione della sua funzione sociale e solidaristica. Proprio la natura pubblicistica delle finalità della contribuzione versata, impone allo Stato, quale contraltare della propria potestà impositiva, di pretendere dall’obbligato solo quanto egli possa effettivamente corrispondere. Precisando ulteriormente, lo Stato può effettivamente pretendere contributi che siano destinati a finanziare il sistema previdenziale e può farlo perché agisce di imperio, ma non può pretendere somme che esulino il reddito dell’obbligato, perché ciò trasformerebbe quell’imperio in un arbitrio, capace potenzialmente di pretendere somme del tutto irragionevoli.
Si badi, peraltro, che ogni somma che esuli il reddito dell’obbligato è già di per sé irragionevole ed incarna una prestazione illegittima e contraria alla Costituzione vigente.
In altri termini, ciò che si deve evitare è la c.d. «tirannia dei diritti», espressione con la quale si è voluto indicare in maniera sintetica quel bilanciamento non equilibrato di contrapposti interessi, determinato appunto dalla prevalenza assoluta, sproporzionata e ingiustificata di un interesse rispetto ad un altro in conflitto.
Impostata in questi termini, quindi, la questione che qui viene in rilievo attiene anche alla ragionevolezza di una soluzione che a livello sistematico non tiene conto di un equo bilanciamento tra l’esigenza di estendere la copertura assicurativa (art. 35 e 38 della Costituzione) e la contrapposta esigenza di favorire l’autonomia delle casse previdenziali private (art. 118, comma 4, della Costituzione).
L’illegittimità dell’art. 5 dello Statuto e art. 3, comma 1, del Regolamento della CIPAG deriva anche dall’aver, il c.d. diritto vivente, interpretato l’art. 3, co. 3 della L. 335/1995 in contrasto anche con l’art. 53 della Costituzione, ciò nella misura in cui non si tiene conto del principio di proporzionalità tra contributi versati e prestazioni previdenziali.
Inoltre, la libertà dei soggetti in questione (parliamo di quella categoria di geometri) che viene ad essere incisa dalle norme censurate è costituita dalla libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 della Costituzione.
Infatti, in mancanza di una chiara individuazione dei soggetti passivi dell’obbligo contributivo, la successiva interpretazione che ne ha esteso l’ambito applicativo anche ai soggetti come “quel geometra”, lede inevitabilmente la libertà di iniziativa economica di quest’ultimo, dal momento che lo stesso risulta pregiudicato nella possibilità di quantificare preventivamente tutti gli oneri, come appunto quelli fiscali e contributivi, cui sarebbe andato incontro nello svolgimento, comunque discontinuo ed occasionale, dell’attività professionale.
Com’è noto, uno degli aspetti caratterizzanti della libertà di iniziativa economica è costituito dalla possibilità di scelta spettante all’operatore economico: scelta dell’attività da svolgere, delle modalità di reperimento dei capitali, delle forme di organizzazione della stessa attività, dei sistemi di gestione di quest’ultima e delle tipologie di corrispettivo (Corte costituzionale n. 218 del 2021).
La piena libertà di scelta, tuttavia, presuppone una chiara individuazione delle alternative a cui si va incontro e tale possibilità è stata pregiudicata, allorquando “quel geometra” ha deciso di intraprendere la propria attività professionale in un contesto normativo e giurisprudenziale che escludeva pacificamente la sussistenza di un obbligo di iscrizione alla Cassa e del conseguente onere contributivo.
Se, invece, avesse saputo con sufficiente certezza dell’esistenza di un simile obbligo contributivo e della sua decorrenza, egli avrebbe potuto eventualmente scegliere di non intraprendere tale attività economica o di intraprenderla con modalità e tempistiche differenti, essendo evidentemente diversa la convenienza economica dell’attività professionale a seconda della diversa incidenza degli oneri fiscali e contributivi a cui il reddito prodotto (nel caso di specie, alcun reddito) sarebbe stato assoggettato.
Infine, per gli stessi motivi per i quali si ritiene esservi una violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione, si dubita anche della compatibilità delle disposizioni in esame con l’art. 1 del protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, quale parametro interposto dell’art. 117 della Costituzione.
Com’è noto, il protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione europea, al suo art. 1 (Diritto di proprietà), dispone che «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende».
Orbene, non sussistono dubbi sulla riconducibilità dell’obbligo di iscrizione e contribuzione in favore della Cassa Geometri nell’ambito di applicabilità dell’art. 1, protocollo n. 1 della Convezione, stante la nozione ampia relativa al concetto di «beni» e di «proprietà», nonché all’espresso riferimento normativo ivi contenuto alle fattispecie di «pagamento delle imposte o di altri contributi».
Orbene, come già osservato in relazione all’art. 23 della Costituzione, il requisito di legittimità dell’ingerenza che pare difettare nel caso di specie con riguardo all’obbligo di contribuzione alla Cassa Geometri è costituito proprio dalla mancanza di una sufficiente determinazione da parte della legge delle condizioni soggettive di imposizione del contributo. Pertanto, per gli stessi motivi per i quali si ritiene esservi una violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione, deve ritenersi che la misura in contestazione costituisca un’ingerenza nel diritto di “quel geometra” al rispetto dei suoi beni per violazione del principio di legalità, così come interpretato dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo.
Pertanto, si torna a porre l’accento sul fatto che la «base legislativa» richiesta dall’art. 23 della Costituzione non possa essere costituita da un’interpretazione giurisprudenziale (Cassazione 4568/2021 e seguenti), soprattutto quando tale interpretazione, alla luce del contesto normativo e giurisprudenziale in cui viene ad inserirsi, risulta essere priva del carattere di prevedibilità. Più in generale, infatti, deve osservarsi come il senso di ingiustizia percepito dai numerosi professionisti, che si sono visti iscrivere d’ufficio alla Cassa Geometri, è dato non tanto e solo dall’assoggettamento ad un obbligo contributivo in sé considerato, quanto piuttosto dal percepire che un simile obbligo sia stato imposto non da una precisa norma di legge, bensì da una interpretazione giurisprudenziale imprevedibile, con conseguente violazione di quella garanzia di libertà che storicamente è sempre stata insita nel principio di legalità.
Che non sia ancora giunto il momento di dare una risposta definitiva alla domanda iniziale? Le perplessità a riguardo sono plausibili, senza dimenticare che da qui a poco la questione sarà sicuramente sottoposta al Giudice delle Leggi.
18 novembre 2022

Fonti:

Partner24ore.ilsole24ore.com
                                                                          Avv. Cristian Primiceri